Joan Lasham: una missione lunga 45 anni

16/10/2020

Vi siete persi la bella intervista a Her Majesty Joan, fondatrice della nostra scuola? No worries... Ecco a voi la versione integrale!


Ringraziamo Eco Risveglio per questo bel riconoscimento. Thank you!

Ciao Joan, innanzitutto partirei dagli inizi della carriera d’insegnante. Come mai la scelta di venire a vivere a Verbania, venendo dall’Inghilterra ed insegnare inglese? Quali sono state le prime difficoltà che hai riscontrato? Quali invece i momenti che ti hanno convinto che era la scelta giusta?
Un’estate degli anni ‘70 mia madre volle portarmi in vacanza in Italia, precisamente ad Ornavasso, per far visita a dei lontani parenti. Inizialmente, come qualsiasi giovane di quegli anni, avrei preferito rimanere nella “swinging London”. Non immaginavo che la mia vita stesse per cambiare! Un giorno, durante questa breve vacanza, mi si affiancò in auto un giovanotto con i capelli a caschetto, stile Beatles. Mi parlò in Italiano ed in inglese maccheronico. La sua auto sembrava una Ferrari e lui Paul McCartney. In poco tempo vivere in Italia era già diventato il mio sogno!
Tornata in Inghilterra, la mia priorità diventò cercare un lavoro nel Bel Paese. Non appena vi fu l’opportunità di un lavoro come insegnante di inglese a Verbania accettai con entusiasmo e presi il primo volo. Iniziai a trascorrere le giornate davanti ad uno specchio, insegnando inglese alla mia immagine riflessa cambiando tono di voce ed espressione, registrandomi su un mangianastri e poi riascoltarmi. Dopo un po’ di pratica e le prime esperienze, mi accorsi di quanto gli studenti apprezzassero la mia teatralità in aula, oltre che la creatività e fantasia nell’inventarmi sempre nuove lezioni.
Nel tempo continuai la mia formazione tra Norwich e Milano e mi sentivo sempre più pronta per questa avventura linguistica. In quegli anni, per la mentalità dei paesi di provincia, l’inglese non era nulla di importante, tuttavia per me era ormai diventata una missione! Iniziai così i miei corsi a Verbania, Gravellona Toce, Domodossola e Omegna.
Ah, quel simpatico giovanotto di Ornavasso è ora mio marito! Avrai capito che mi ritrovai in Italia per amore di un ragazzo, Francesco… ma presto lui si accorse che avrebbe dovuto dividermi con un altro mio grande amore: il lavoro di insegnante.

Hai da sempre avuto un approccio anche ludico all’insegnamento, cercando di coinvolgere il bambino nell’apprendimento attraverso metodi non tradizionali. Perché hai deciso di praticare questo percorso d’insegnamento? Hai fin da subito intrapreso questa strada o stato un processo più graduale?
Con gli studenti italiani ho capito subito che avrei dovuto usare la mia creatività, le mie doti artistiche e soprattutto la mia passione per l’insegnamento che, per fortuna, avevo in abbondanza. Da studentessa avevo una professoressa madrelingua di francese molto vivace e spigliata, tutti i miei compagni seguivano le sue lezioni con entusiasmo; il mio professore di fisica aveva invece un tono di voce soporifero e le sue lezioni erano davvero noiose. Indovinate a chi mi sono ispirata?
Sono passati più di 40 anni ma il mio approccio non è cambiato: mi travesto da Regina Elisabetta per far divertire i miei bambini in Piazza Castello e qualche sabato mi trovi nelle vesti di Mary Poppins al mercato. Con il mio fantastico Team organizzo Tea Parties al pomeriggio e Oscar Nights la sera a teatro… Un giorno un bambino mi disse che l’unica materia che gli piaceva era l’inglese, perché durante le mie lezioni “non si studia ma si gioca”. Ovviamente me lo disse in inglese.

Oltre ad un approccio ludico, hai sempre cercato di trasmettere non solo i fondamentali della lingua inglese, ma anche la cultura dell’Inghilterra stessa. Ritieni che sia il modo migliore affinchè un bambino possa apprendere, perché affezionandosi alla sua cultura può amare di conseguenza la sua lingua?
Il fascino della cultura britannica, soprattutto nei bambini, è una chiave vincente. Con i miei figli Alan e Karen ho da sempre insistito a parlare e trasmettere loro la cultura Inglese portandoli da subito nel mio paese di nascita più volte l’anno. Dopo tanti anni, proprio insieme a loro, d’estate accompagno i bambini e i ragazzi del VCO nella mia patria per le vacanze studio; molti di loro sono anche nostri alunni durante il resto dell’anno, ma quando tornano dalla vacanza studio iniziano l’anno scolastico con una marcia in più: l’esperienza in Inghilterra alimenta la loro voglia di imparare e tutti tornano in Italia con una vera passione per la lingua e la cultura britannica. Con la mia scuola, il “Joan’s British Centre”, organizziamo Summer Camps, progetti scolastici, eventi e lezioni a tema: i bambini di Verbania si trasformano in alieni, pirati, investigatori privati, rock stars, viaggiatori nel tempo, membri della Royal Family… insomma, l’ho già detto che il fascino della cultura britannica è una chiave vincente?

Qual è il metodo più bizzarro (passami il termine) che hai utilizzato per insegnare l’inglese ai ragazzi? Hai degli aneddoti divertenti che puoi raccontarci?
Voglio che i miei alunni vivano l’inglese come un’esperienza, non come una semplice materia scolastica: per insegnare il lessico dei vestiti, ad esempio, chiudo il libro di testo e trasformo l’aula di inglese in un atelier d’alta moda; i bambini prima si trasformano in stilisti e poi diamo il via ad una vera e propria sfilata. Per insegnare i numeri abbiamo ricreato un gigantesco gioco dell’oca in cortile, per insegnare a chiedere indicazioni abbiamo riprodotto una Londra in miniatura… grande quasi quanto Ornavasso! Insomma, sono dell’idea che tutti possano imparare l’inglese con il metodo giusto.
Tanti anni fa mi trovavo in vacanza alle isole Tremiti. La mia carriera di insegnante era ancora agli inizi e passavo le giornate a improvvisare lezioni per tutti i bambini della spiaggia. Un giorno un buffo ometto peloso mi si avvicinò e mi fece una proposta: “Signorina, io non so una parola di inglese però ho una barca… se facciamo un giro lei mi insegna qualche parola?” “Può venire anche Francesco, il mio fidanzato?” “Ehm… ma certo!”. Passammo uno splendido pomeriggio, quello strano signore era davvero simpatico. Diceva di fare il musicista ma con l’inglese era davvero un disastro; quando tornammo a riva, dopo aver salutato ed abbracciato quell’ometto così simpatico, Francesco mi disse che avevo appena insegnato qualche parola di inglese ad un famoso cantante. Da qualche parte dovrei ancora avere una foto Polaroid di quell’incontro: siamo io, mio marito Francesco e quell’ometto così buffo… Lucio Dalla.

In tutti questi anni qual è stato invece l’apprendimento più grande che tu hai ricevuto da tutte i bambini e gli adulti a cui hai insegnato? Cosa ti hanno lasciato maggiormente?
Quando un adulto si iscrive ad un corso di inglese solitamente lo fa perché vuole migliorare, è una sua scelta ed è già ben disposto. Con i bambini è tutto diverso: a scuola ci devono andare per forza; ad alcuni bastano pochi minuti per accendersi di entusiasmo, altri il primo giorno entrano in classe svogliati, senza interesse. La mia gioia più grande sono proprio loro, quei bambini che durante la prima lezione hanno la testa perennemente girata verso il cortile… poi però succede qualcosa dentro quella testa! Da lì a poco li vedrai uscire da scuola al pomeriggio e correre entusiasti fino al Joan’s British Centre per i loro corsi pomeridiani di inglese. E magari sono gli stessi bambini che alla recita di fine anno parlano l’inglese come mini-professori di Oxford e che qualche anno più tardi all’Università di Oxford ci sono arrivati per davvero!